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domenica 30 gennaio 2011

La smollicata, un piatto povero da leccarsi i baffi



Cavolo verza
Per questa settimana ho deciso di presentare un contorno tipico del perugino: la smollicata. E’ un altro dei piatti poveri con cui si accompagna in genera la carne di maiale arrosto. Nei campi in questo periodo pur attanagliati dal gelo resistono le verze col loro bel color verde che spicca fra la terra pazientemente e sapientemente lavorata. Per le loro proprietà i cavoli e le altre piante appartenenti al genere come le verze appun
to, sono state considerate veri e propri medicinali. Catone attribuiva all’uso di queste verdure la proverbiale salute del popolo romano, inoltre con il loro contenuto di vitamine : A, B1, B2, B6, C, D, E, K, PP e altri elementi come il bromo, rame e potassio e non solo sono veramente utili al nostro organismo, specialmente qualora vengano consumate crude.
Per la ricetta di oggi occorre solamente un cavolo verza, pulitelo e sbollentatelo in acqua salata, a cottura ultimatanpassatelo sotto l’acqua fredda per mantenere inalterato il colore che altrimenti virerebbe al giallognolo. 
A parte procuratevi delle fette di pane raffermo di almeno un paio di giorni, tagliatelo a dadini e fatelo scaldare fino a prendere un bel color oro in una padella.
A questo punto prendete la stessa padella dove avete fatto imbiondire il pane e versateci dell’olio che farete scaldare. Appena l’olio è caldo buttate nella padella la verza lessata e portatela ad ebollizione, poi aggiungete i dadini di pane raffermo. Fate andare fino a che la verza abbia ceduto l’acqua rimasta e questa sia ben evaporata dal pane, che non deve mai risultare molliccio,ma croccante.
La smollicata in genere viene usata per accompagnare le costine di maiale arrosto o le fette di pancetta fatte alla brace.
E se devo essere onesta vi dico che è uno dei miei contorni preferiti e poi con le foglie che scarto ci posso sempre fare delle maschere di bellezza no?

giovedì 20 gennaio 2011

Le ricette umbre: Faraona alla leccarda


di Elena Proietti
http://oracolodiapollo.blogspot.com/
Per questa settimana ho scelto di presentare un piatto tipico della cucina Ternana: la faraona alla leccarda. Questo tipo di gallina si trova in natura in diverse parti del continente africano, fu importata sul territorio italiano dai romani che ne favorirono la distribuzione in tutto l’impero. In Umbria veniva allevata nei cortili insieme agli altri animali da cortile,ma lontano dalle case dei vicini … non so  se la avete mai sentita cantare, vi consiglierei di fare un giretto su you tube per capire il perché della mia specificazione ! La carne della faraona è molto magra e ricca di proteine,per questo si presta meglio ad essere servita con un ripieno o salse che ne irrorino le carni. Nello specifico oggi la cucineremo alla leccarda ovvero spezzata e cotta in tegame con tutti gli aromi e i fegatini,che poi verranno passati per creare una salsa ricca e saporita da adagiare sopra la carne.
Ingredienti :
  1. 1 Faraona
  2. Sedano,Carota, Cipolla
  3. 2 spicchi di Limone
  4. Rosmarino e Salvia
  5. 3 o 4 Fegatini di Pollo
  6. Olive verdi Denocciolate
  7. Sale e Pepe
  8. Olio
  9. Vino bianco un bicchiere
Lavate bene la faraona, eventualmente fiammeggiatela e spiumatela. Passatela ancora sotto l’acqua corrente e poi  spazzatela, irroratela ora con del vino bianco e fatela scolare. La stessa cosa fate con i fegatelli di pollo. Mettete in un tegame l’olio, la cipolla tritata, il sedano e la carota, fate appena soffriggere. A questo punto mettete nel tegame la faraona spezzata e quando avrà tirato fuori l’acqua scolate il tutto e rimettete in pentola aggiungendo di nuovo olio. Mettete nel tegame il limone, il rosmarino e la salvia, questi ultimo possibilmente legati a mazzetto. Fate cuocere fino a rosolare leggermente e aggiungete i fegatini di pollo. Quando anche questi saranno rosolati aggiungete il vino sulla carne e fate evaporare. Salate e pepate a piacere. Molte ricette prevedono di aggiungere ancora del vino  man mano che la faraona cuoce.
Io a questo punto preferisco togliere dalla pentola la salvia e il rosmarino che avevo precedentemente legato assieme e portare a cottura aggiungendo acqua a cui unisco un mazzetto fresco di queste due erbe aromatiche, per evitare che si dissolvano nella salsa di cottura e rendano amarognola la salsa. A metà cottura aggiungere le olive e continuare ad irrorare durante il restante tempo con l’acqua aromatizzata. Quando la carne sarà cotta adagiate la faraona su di un piatto di portata e passate nel tritaverdure o al passatutto la cipolla, la carota, le olive e i fegatini di pollo. Lasciate il limone da parte potrebbe rendere amara la salsa.
Ne risulterà una crema densa e saporita, assaggiatela per poi poterla aggiustare di sale. Nappate la faraona con la sua salsa e servite con delle bruschettine di pane sciocco (non salato).
E anche per questa settimana credo di potervi augurare Buon appetito…

martedì 11 gennaio 2011

Cibi della tradizione : la torta al testo

Guardandoci intorno ancora oggi possiamo vedere quanto la verde Umbria sia legata alle tradizioni. Con i suoi paesini da cartolina,come Spello, Trevi o Bevagna, che si ergono come gemme da un terreno ricco di doni della natura, il nostro territorio appare come cristallizzato nel tempo. Passeggiando tranquillamente possiamo ovunque ritrovare le vestigia di un passato a volte difficile a volte glorioso. Ancora oggi nella nostra ricchissima tradizione culinaria sopravvivono ricordi dell’era degli etruschi e dei romani che per primi colonizzarono con tracce significative l’Umbria. La gente umbra, quella vera, ama i sapori semplici e ruvidi della terra, i sapori dei suoi insaccati, dei suoi formaggi e delle erbe selvatiche. E da queste rustiche abitudini nasce uno dei cibi più rappresentativi e antichi dell’Umbria: la torta al testo. Sin dall’antichità si era, infatti, usi mangiare pani impastati con varie farine e cotti su testi arroventati. All’inizio erano focacce di farina di farro o altri cereali selvatici miscelati con l’acqua e cotti sulle pietre dei bivacchi. Nel tempo il pane da azzimo (ovvero non lievitato), tipico delle culture non stanziali divenne un pane come lo conosciamo oggi lievitato, alto e soffice. Qui da noi la torta rimase un punto fermo,ogni famiglia conserva la sua ricetta e per ogni occasione c’è una torta a cui vengono aggiunti ingredienti “ speciali”. Per la Venuta ad esempio (8 Dicembre ) si aggiungono dadini di pancetta cruda conditi prima con sale e pepe in abbondanza; quando invece le famiglie ammazzavano il maiale ( grande vera occasione di mangiate ) con i residui dello strutto sfritti nello stesso si ottenevano gli sfrizzoli ,che venivano aggiunti alla farina e impastati con un po’ di pecorino. Oltre a questo poi la torta era servita in genere accompagnata dalle erbe selvatiche,come le casselle o i raponzoli, la cicoria, i crispigni, il tarassaco e le rapastelle. Che venivano pazientemente puliti dalle donne, lessati e ripassati in padella con olio e aglio. Era il pane tipico con cui si mangiavano le salcicce, magari ancora da essiccare, si spaccava una fetta di torta e si farciva ,il calore del pane cuoceva in parte la carne.
Per quanto riguarda la ricetta nulla di più semplice 

  500 gr di farina, Acqua per impastare, Bicarbonato o una cartina salata. Circa un cucchiaino.

Dopo aver mescolato gli ingredienti fino a ottenere una pasta liscia elastica e morbida che sia setosa sotto le mani. Stendere col matterello fino a ottenere un disco alto circa un centimetro delle dimensioni del testo circa. La bontà di questa focaccia sta nella perfetta cottura. Il testo deve essere arroventato al punto giusto, una prova che le massaie fanno ancora oggi è buttarci sopra un pizzico di farina e se questa diviene color oro vuol dire che è ora di cuocere la torta! Messa la torta sul testo va bucata con i rebbi della forchetta e rivoltata la prima volta solo quando sarà  color avorio, si procede con la cottura fino a quando l’impasto non sarà perfettamente asciutto all’interno.
La crosta deve essere color oro e saprete che è cotta anche dal profumo che sprigiona. A questo punto basta solo spaccarla e farcirla col prosciutto saporito di Norcia, con una delle nostre salcicce e l’erba campagnola e avremo un piatto da re.

mercoledì 5 gennaio 2011

Tagliatelle al sugo d'oca.

http://goodmorningumbria.wordpress.com/


Pur essendo in pieno inverno, ho scelto di presentare un piatto legato tradizionalmente al periodo della trebbiatura, forse perché lo trovo più consono ai nuovi stili di vita.
Nel periodo estivo le famiglie si ritrovavano per mietere e trebbiare il grano, piatto forte dei pranzi era chiaramente il pollame, per essere precisi l'arrosto d'oca, anche perché il maiale protagonista della cucina umbra non era macellato per l'impossibilità della conservazione.
Le massaie preparavano nei forni di casa il nostro meraviglioso pane sciocco e una volta che si abbassava la temperatura, infornavano gli arrosti.
Nel frattempo nelle cucine dove non si buttava assolutamente nulla le donne di casa e le vicine impastavano le tagliatelle e preparavano il sugo.
Un sugo ricco e denso, ma soprattutto profumato, con un gusto notevolmente diverso da quelli cui siamo abituati noi oggi.
Cotto il sugo e cotta la pasta portavano a tavola all'aperto nelle aie e riunivano tutti i mietitori,nei racconti delle mie nonne era una festa, una delle poche a cui partecipavano nel corso dell'anno.
Detto questo, vi do la ricetta sperando che sia di vostro gradimento e che soprattutto una volta o l'altra troviate il modo di metterla in tavola.
Va chiarito che la ricetta non è standard e che variava da famiglia a famiglia, per cui vi do quella che conosco.
  1. 400 gr di rigagli d'oca
  2. 100 gr di pasta per salciccia
  3. 1/2 bicchiere di vino bianco
  4. passata di pomodoro
  5. olio d'oliva
  6. cipolla
  7. carota
  8. sedano  
  9. sale e pepe
Tagliare finemente la cipolla e pulire bene sedano e carota.
Lavare bene i rigagli e tagliarli a dadini.
Fate imbiondire in un tegame la cipolla con l'olio, quando sarà color oro
gettate nel tegame i dadini,e fateli andare sul fuoco per circa una decina di minuti,aggiungere la pasta di salciccia fresca sbriciolata e fate rosolare il tutto.
Quando la carne comincerà a sfrigolare alzate il fuoco e sfumate col vino bianco. Non mescolate e fate evaporare perfettamente il vino altrimenti nel sugo se ne sentirà il sapore asprigno.
A questo punto aggiungete il pomodoro e fate andare lentamente fin quando il sugo non sarà perfettamente cotto. Aggiustate di sale e pepe.
Potete scegliere se preparare in casa le tagliatelle, oppure comperarle,l'importante è che le cuociate al dente.
Condite la pasta col sugo e spolveratele di pecorino, saprete bene che il parmigiano in Umbria non era proprio di casa!
Signore e signori buon appetito!!!